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  1 - Alfetta berlina

Indice dell'articolo

  1 - Imbattibile Alfetta

  2 - Nella leggenda?

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Alfetta: una storia lunga quasi cinquant'anni

1. Imbattibile Alfetta

Come si addice ad una grande protagonista, l’Alfetta, la mitica Alfa Romeo “158/159”, uscì di scena quando ancora il pubblico batteva le mani.
Era il 1951. Fangio aveva appena festeggiato il titolo di campione del mondo vincendo al Gran Premio di Spagna. Gli anni più gloriosi della Casa del Biscione nello sport, sono legati proprio alle prime due edizioni del campionato del mondo di F1, quando, per due anni di seguito, Nino Farina prima e Juan Manuel Fangio poi, svettarono nei mondiali '50 e '51.

La prima stagione iridata fu caratterizzata addirittura dall'en plein messo a segno dalle Aletta, che vinsero tutti i Gran Premi in calendario ad esclusione di Indianapolis, cui però i team europei non partecipavano.
Per 37 volte, in 45 gare disputate, la 8 cilindri di 1.479 centimetri cubici, tagliò il traguardo davanti a tutti.
L’addio alle competizioni dell’Alfetta coincise con il ritiro ufficiale della Casa del Biscione. Era cambiata la politica aziendale.
In programma c’era la produzione in serie della “berlina per famiglia che vince le corse”: la 1900. Non era possibile distogliere le già esigue risorse finanziarie per continuare l’avventura sportiva.
Più che un capitolo si chiudeva un intero libro della storia automobilistica. La “vetturetta” (così si chiamavano le monoposto prima della guerra), nacque dall’ingegno di Gioachino Colombo e di Enzo Ferrari, allora direttore della omonima scuderia Alfa di Modena. E fu proprio, a proposito di quel progetto che il futuro “Drake” manifestò con una frase rimasta celebre le sue idee circa i motori anteriori.

“Sono sempre stati i buoi a tirare il carro”, disse allora. In seguito ebbe modo di ricredersi.
La “ricetta” transaxle, cioè motore anteriore, cambio e differenziale in blocco al posteriore, è rimasta quasi una costante nei successivi modelli Alfa Romeo. Il cambio e la frizione spostati dalla parte anteriore della vettura alla posteriore, oltre ad aumentare l'aderenza delle ruote motrici, garantiva una distribuzione bilanciata dei pesi. Ed era una soluzione ripresa addirittura dalla 8C 2900 del 1936.
La guerra era alle porte e le cinque Alfetta fino ad allora allestite, vennero premurosamente nascoste, murate, in una fattoria della provincia lombarda.
Prima ebbero comunque il tempo di avere il battesimo della pista, levandosi qualche soddisfazione e, purtroppo, rendendosi anche protagoniste di pagine dolorose.
L’esordio avvenne il 5 maggio 1938 a Monza. Non fu un successo, ma servì da lezione per raggiungere le successive vittorie. Da allora in poi fu un continuo sventolio di bandiere a scacchi.
Ma la grande occasione doveva essere a Tripoli, nel 1939. La celebre gara, a cui era legata l’ancor più popolare lotteria, fu però quasi una beffa. I tedeschi della Mercedes avevano preparato in gran segreto uno squadrone di “frecce argentate” che sbaragliò tutti. Poco più di un mese dopo, a Monza, durante le prove, Emilio Villoresi, fratello del poi noto pilota Luigi, perì in un incidente mentre era alla guida di una “158”. Tre settimane più tardi arrivarono i primi posti ottenuti alla Coppa Acerbo da Biondetti, Farina, Pintacuda e Severi offuscati da un altro lutto. Giordano Aldrighetti, rimasto ustionato in un altro incidente avvenuto durante le gare di qualificazione, morì a distanza di alcuni giorni.
Nel dopoguerra, anche per la scarsità di mezzi l’Alfetta conobbe - gioco forza – una seconda giovinezza, culminata, dopo l’entrata in vigore del nuovo regolamento di Formula Uno, con i due titoli mondiali, nel ’50 e nel ‘51.
Il divorzio del 1939 tra Ferrari e Alfa Romeo, alimentava, appassionando le tribune, la rivalità tra le due scuderie.
La “159”, giunte ormai alla soglia dei 265 cv, riuscivano ancora a far mangiare nuvole di alcol metilico alle rosse di Maranello. Ma avevano ormai il fiato corto e, soprattutto, i “serbatoi” vuoti.

2. Nella leggenda?

A distanza di quaranta anni esatti dopo la vittoria di Giuseppe Farina a Silverstone il 13 maggio 1950, l’Alfa Romeo 158 riapparve ad Adelaide (nel 1990) guidata da Fangio, in una memorabile parata di auto storiche.
Quelle dieci vetture in mostra, ripercorrevano la storia e l’evoluzione delle auto di F1 degli ultimi quaranta anni.
Quella era la situazione del 1950 quando, quattro anni dopo la fine del conflitto mondiale, l’Alfa corse era riemersa in un sonnolento villaggio di Melzo, nell’Italia del nord, e le corse di Formula uno, così come le conosciamo oggi, iniziarono.

Il loro equipaggiamento, macchine e tecnologia era rimasto intatto, e l’Alfetta 158 resuscitò per diventare la vettura di F1 dominante in quel periodo. Dovettero essere corse ben 27 competizioni prima che lo strapotere dell’Alfetta 158 fosse rotto.
La vita ultradecennale della 158/159 iniziò nel 1937. Le squadre Mercedes ed Auto Union con una massiccia assistenza nazista, stavano dominando nei GP dedicati alle vetture 3 litri. A Gioacchino Colombo, fresco dell’esperienza con Vittorio Jano, fu chiesto dal suo capo in Alfa Orazio Satta, di disegnare e costruire una vettura per la loro squadra corse guidata da Enzo Ferrari, per gareggiare nel 1938 nella formula fino a 1500 c.c. Qualcosa di analogo alla Formula 2 di qualche anno dopo. La piccola Alfa collezionò una doppietta nelle mani di Villoresi e Biondetti al suo debutto a Livorno il 7 agosto 1938.

Nella sua versione originaria, la 158 erogava circa 200 hp a 7.000 giri grazie ad un compressore funzionante a 17,6 psi. Il motore stesso era un otto cilindri con doppio albero a cammes.
Ci furono alcuni evidenti problemi nelle poche apparizioni prima dello scoppio della guerra. A Tripoli nel 1939 Lang e Caracciola ebbero la meglio sulle Alfa grazie al motore Benz W-165; comunque nel 1940 Farina vinse qui, stracciando il record precedente di Lang.
Nel 1947, la 158 divenne una vettura da Gran Prix anche grazie alle disgrazie belliche delle vetture tedesche, ed era dominatrice incontrastata, tanto che il lancio del nuovo motore da 300 hp fu rimandato fino al 1948. Il suo debutto nel Gran Premio Svizzero fu tragico. Varzi perse la vettura su un saliscendi e rimase ucciso.
Le prime 158 continuarono a comportarsi bene; alla riapertura del circuito di Monza le 158 conquistarono una splendita tripletta con Wimillw, Trossi e Sanesi. Ma prima della fine dell’anno Wimille rimase ucciso in un incidente durante delle prove in Sud America, ed anche Trossi morì di cancro. Questo influì almeno in parte nello stop dell’Alfa nelle corse del 1949.
Durante questo intervallo l’Alfetta fu migliorata per erogare 350 hp ad 8600 rpm.

L’Alfa tornò alle competizioni nel 1950, anno in cui per la prima volta si correva il FIA World ChampionShip.
Farina tornò, Fagioli fu inserito in quadra insieme ad un non molto popolare Fangio, il quale fece ogni sforzo per riconquistare la simpatia popolare, compresa una significativa vittoria a San Remo contro alcune delle nuove Ferrari di Colombo.
L’Alfa Romeo però, dimostrò la sua netta invincibilità alla prima gara di Silverstone valida per il campionato del mondo. La quarta Alfa fu pilotata per l’occasione da Reg Parnell, dal momento che Sanesi era al momento non disponibile.

Così, il 13 maggio 1950, Silverstone ospitò la prima gara iridata con il Gran Premio di Gran Bretagna.
21 le monoposto al via,e 12 all'arrivo, con l' Alfa Romeo a far man bassa del podio con Farina, Fagioli e Parnell.
Col modello "158", meglio conosciuto come "Alfetta", l'Alfa Romeo dominò i primi 2 anni del neonato campionato del mondo: gli unici allori dell'impegno in F1 della casa di Arese. Colombo che era tornato all’Alfa dopo aver lasciato la Ferrari alla fine del 1950 stabilì che l’eroica 158/159 aveva bisogno di un pesante rinnovamento. Egli ridisegnò completamente la vettura, riducendo la potenza di circa il 25%, il peso di 500 lb e la capacità del serbatoio di circa la metà, ma quando i progetti ed i disegni furono presentati al governo che aveva finora stanziato i fondi necessari, essi respinsero il progetto per il costo troppo elevato. La meravigliosa 158 sarebbe stata da quel momento in avanti niente altro che un pezzo da museo.
I successi senza rivali dell’Alfetta sono stati originati da un eccellente miscuglio di progettazione, grandi piloti, buona strategia.
       

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